venerdì 8 ottobre 2010

Intervista a Zerzan - a cura degli utenti del forum di anarchaos

“La civilizzazione non è uno sviluppo naturale inevitabile. Guardare più in profondità di 200 anni”.
7 ottobre 2010

a cura degli utenti del forum di anarchaos

Questa intervista è nata in maniera spontanea e libertaria sul forum di anarchaos. L’occasione è la presenza in Italia di John Zerzan per un giro di presentazioni del libro “Liberi dalla civiltà”, di Enrico Manicardi, con la prefazione dello stesso Zerzan. Le domande, le traduzioni, i contatti con Zerzan si sono sviluppate in maniera completamente spontanea dagli utenti del forum o da persone immediatamente vicine che sono riusciti a contattare. Uno straordinario esempio di uso anarchico della tecnologia di internet, su cui ci permettiamo ironicamente di invitare a riflettere. Il ringraziamento va a Cane_Randagio, mec, lalla, loser per le domande, vladjm e David Hauser per la traduzione.


Quale differenza fra essere semplicemente contro la rivoluzione industriale e essere
esplicitamente primitivisti?
Il primitivismo vede la rivoluzione del neolitico, cioè la svolta verso la domesticazione e l’agricoltura, come fattore più profondo rispetto alla Rivoluzione Industriale. La Rivoluzione Industriale può essere vista come un’estensione della rivoluzione agricola. Opporsi all’industrialismo non significa per forza mettere in discussione istituzioni basilari come la divisione del lavoro e la domesticazione, le quali sembrano a molti di noi come le fonti principali della vita industriale civilizzata e totalizzata. Uno deve andare più profondo, credo, di solo 200 anni in dietro per riconoscere le radici della crisi complessiva, in ogni sfera, che stiamo subendo oggi.

Perché la critica della modernità non può portare ad una era “nuova” rispetto a quella moderna, ma deve necessariamente condurci ad un’era vecchia, quella detta “primitiva”, che l’uomo ha già superato?
Una “era nuova” basata su che cosa? Cosa dovremmo preservare? Niente di ciò che sta
portando avanti l’ordine mondiale attuale presumo. Mi viene in mente “l’Alter-globalizzazione”, un concetto che schiva la natura di ciò che chiamiamo globalizzazione, proprio come alla Sinistra, credo, non ci sia mai stata una vera anti-globalizazzione.

Su cosa basa la sua tesi che il modo di produzione agrario sia l’origine dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo?
La letteratura antropologica dimostra chiaramente cosa comporta il passaggio alla
domesticazione/agricoltura: la guerra cronica, sempre più lavoro, oggettivazione della donna, la fine delle comunità di banda (società) egalitaria, aumento drastico della popolazione, distruzione dell’ambiente. Per questo, insieme a Jared Diamond negli anni 1980 molta gente lo ha chiamato “il più grosso errore nella storia dell’umanità”.

Secondo storici ed archeologi come Marija Gimbutas e Riane Eisler la scoperta dell’agricoltura non è affatto coincisa con l’inizio del dominio dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura. Entrambe spiegano che le società che ruotavano intorno al culto della Dea Madre (le cosiddette società gilaniche), presenti praticamente in tutta Europa e in altre parti del mondo (Medio oriente, Asia, ecc.) più o meno dal 7-8000 a. C. al 3-2500 a. C in rapporto solo al neolitico (il culto della Dea Madre fu presente anche nel paleolitico), erano sì imperniate sulla coltivazione della terra ma senza che fossero per questo gerarchiche, androcentriche e violente. Qual è la sua idea rispetto a queste tesi che sembrano oramai assodate?
La civiltà matriarcale è un mito. Non è mai esistita. Antropologhe femministe, tra gli altri, lo
hanno dimostrato molto chiaramente. Una fonte grossa dell’errore è l’eccessiva enfasi sui simboli delle Dee. Guardate il Messico e gli onnipresenti simboli di Nostra Signora di Guadalupe. Da lì si potrebbe concludere che il Messico è matriarcale; invece è completamente patriarcale, addirittura maschilista. O la generale mariologia del cattolicesimo; da nessuna parte questo significa matriarcato. Diverse forme del New Age vogliono credere a questo mito che non ha nessuna base.

Come si pone il primitivismo nei confronti delle teorie dell’evoluzione? Darwin nell’Origine dell’uomo e nei Taccuini filosofici, al contrario di quanto ritengono i liberisti e i nazisti del cosiddetto “darwinismo sociale”, cerca di dimostrare che la civiltà, la morale, la politica, l’altruismo, la solidarietà sono prodotti dell’evoluzione biologica: secondo questa teoria il branco e la tribù più solidale e organizzata aveva maggiori possibilità di sopravvivere e quindi di riprodursi, lasciandoci in eredità i cosiddetti “istinti sociali”come l’amore e la simpatia reciproca. Tali istinti sono presenti anche negli animali e nelle piante (Darwin si spinge a parlare perfino di “intelligenza vegetale”). Se tali teorie fossero vere, non metterebbero in contraddizione l’ipotesi primitivista?
Paradossalmente il primitivismo apparirebbe come qualcosa di anti-naturalistico, che rifiuta i processi evolutivi degli organismi viventi e che vuole imporre artificialmente ad uno di questi organismi un percorso inverso a quello fino ad ora seguito.
La domesticazione e la civilizzazione non sono sviluppi naturali né inevitabili. La tremenda resistenza lo dimostra; vedete In Search of the Primitive di Stanley Diamond. Si può sostenere che l’affermazione del fascismo significa che era imposto dall’evoluzione ma certamente non è così. La complessità sociale è stata, ed è tuttora, portata avanti principalmente dalla divisione del lavoro e dalla specializzazione. Ma questa istituzione non da sempre è la regola. Per esempio, l’archeologia è perplessa davanti al fatto che le forme di arnesi di pietre non sono cambiate in un milione di anni, nonostante l’intelligenza per cambiarle era certamente presente. Andava bene per una società stabile e ben adattata, quindi perché cambiarle? Direi che questa sia una plausibile spiegazione.

Come un primitivista vive l’ovvia incongruenza tra mezzi adoperati (pc, mezzi di trasporto, ecc.) e fini preposti (distruzione della civiltà moderna)?
Questa contraddizione è infatti una con la quale dobbiamo fare i conti. Non abbiamo disegnato noi questo massiccio, alienato eco-disastro ma rinunciare all’uso di questi componenti significherebbe consegnarci al silenzio. Per cercare di contribuire alla soluzione siamo costretti ad usare ciò di cui speriamo vedere la fine.

Come si fa a ricondurre l’attuale domesticazione dell’uomo, dell’animale, dell’ambiente al primitivismo, togliendo all’uomo il benessere entro il quale vive, ormai sentito come indispensabile, ormai terreno su cui cammina? Qual è il processo di abbandono della modernità e di ritorno ad uno stile di vita primitivo, processo di conciliazione ‘naturale’ tra uomo e natura, non come fenomeno individuale, in quanto l’uomo è artefice del proprio destino, ma come fenomeno globale?
Qual’è quel “benessere” che vogliamo togliere? Tanta gente non lo vede affatto salutare o sostenibile, per dire il meno. Di certo non vi sarà un allontanamento da questo finché l’immiserimento e la distruzione non sono profondamente sentiti. Che può avvenire o meno, è chiaro.

L’agricoltura è posta dal pensiero primitivista come spartiacque tra la società primitiva e l’addomesticamento dell’uomo. Un ritorno alla società pre-agricola richiederebbe però una diminuzione drastica del numero di abitanti del pianeta Terra. Considerando che probabilmente la nascita dell’agricoltura e dell’allevamento sono una conseguenza dell’incremento del numero di esseri umani presenti nel mondo, come crede che si possa impedire che anche in seguito ad un crollo dell’odierna società le generazioni future possano riuscire a vivere come cacciatori/raccoglitorisenza ricorrere nuovamente all’agricoltura? Cosa impedirà comunque a questa società di riproporsi nuovamente in questi termini?
Un cambio fondamentale implicherebbe un processo di transizione che sicuramente includerà l’orticoltura come passaggio dall’agricoltura industriale per esempio. Nessuna persona responsabile immaginerebbe un cambiamento totale da un giorno al altro. Ci potrebbe essere un ritorno alla domesticazione ma perché dovremmo scegliere un cammino disastroso, uno che si è dimostrato tale?

Quale lettura da il movimento primitivista alla crisi economica e finanziaria degli ultimi anni? Come dovrebbero agire gli anarchici nell’esplosione sociale in atto? Quali dovrebbero essere le loro strategie a breve e lungo termine?
Opporsi a un livello fondamentale all’espansione della produzione di massa e alla società di
massa significa che non siamo parte dell’idea che vuole “rianimare l’economia”. Le alternative a tutti i livelli devono essere esplorate e a volte una crisi economica ci porta a questo, con implicazioni radicali per una sostenibilità ed autonomia più profonde. Altri eventi possono provocare delle messe in dubbio come per esempio il vulcano islandese questa primavera. Tutto da un tratto l’Europa è rimasta con poca frutta e verdura, il ché ha portato a considerare la vulnerabilità che la globalizzazione rappresenta. Questo discorso pubblico è stato abbastanza interessante da quanto ne ho letto io.

Quale è stato il ruolo del capitalismo nella devastazione ecologia del pianeta? perché secondo il primitivismo tale ruolo non è peculiare della società capitalistica-borghese-industriale ma è il frutto avvelenato di ogni genere di civiltà?
Il capitalismo è l’ultima fase della civilizzazione, proprio come la tecnocultura è l’ultima fase dell’industrialismo. Il problema è il capitalismo, certo, ma va molto più profondo secondo noi.

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