lunedì 12 aprile 2010

LOTTA CON OGNI MEZZO, SOLIDARIETÀ SENZA CONFINI


Una lettera aperta da Nikos Maziotis, del 2000


Il giorno 8 gennaio del 2001 sarò di nuovo processato dalla corte d'appello per il tentativo di far esplodere una bomba contro il ministero dell'Industria e dello Sviluppo, un'azione da me messa in atto il 6.12.97, al fine di esprimere la mia solidarietà con la popolazione dei villaggi della baia di Strimonikòs che in quel periodo resisteva all'installazione di impianti per la lavorazione dell'oro da parte della multinazionale TVX Gold e contro l'attacco repressivo dello stato. L';appello, che comincerà l'8 gennaio, non è una semplice ripetizione del processo. È una battaglia politica di importanza pari a quella processo di primo grado, nel luglio del '99, che divenne parte integrale della lotta antistatalista ed anticapitalistica.
Il processo del luglio '99 si tenne sotto le pressioni che il governo USA faceva su quello greco affinché schiacciasse il «terrorismo» ed approvasse una legge «antiterrorismo», cosa che ci si aspetta a breve termine.
La mia condanna a 15 anni di prigione è stata una decisione politica imposta, presa sotto il carico di quella pressione, e come tale è stata decretata da un funzionario americano. Quella condanna mirava a condannare le lotte sociali, gli anarchici e la loro solidarietà con le lotte sociali, la solidarietà tra coloro che resistono; a condannare gli abitanti dei villaggi di Strimonikòs, la rivolta contro la stato ed il capitale, tutti quelli che resistono contro l'attuale ordine politico e sociale che regna sul mondo.
Ma il processo del luglio '99, nel modo in cui è stato condotto da parte nostra, è divenuto una condanna per lo stato ed il capitale, una condanna dei loro crimini ed un sostegno alla tradizione anarchica insurrezionale delle lotte degli ultimi dieci anni in Grecia, un appello
senza compromessi alla lotta contro lo stato ed il capitale in tutto il mondo.
In questa battaglia politica non ero solo. C'erano anche compagni che in passato erano stati accusati ed imprigionati per casi analoghi, compagni con i quali ho condiviso molti momenti e situazioni di lotta, durante delle dimostrazioni, occupazioni, durante la rivolta del Politecnico nel '95 e nei movimenti di solidarietà, come in quello per la lotta nei villaggi
di Strimonikòs.
C'erano compagni dall'estero, dall'Italia e dalla Francia, che sono venuti al processo per esprimere la loro solidarietà, ed anche messaggi di solidarietà mandati o letti in aula, come quello per i tre rivoluzionari di Action Directe imprigionati ed altri messaggi da parte
di gruppi anarchici. La dimensione della solidarietà internazionale espressa durante quel
processo è stata di grande valore ed importanza ed ha provato che la lotta contro lo stato, il capitale ed il Nuovo Ordine è diffusa in tutto il mondo.
Il significato politico e sociale del processo d'appello dell'otto gennaio è comprensibile. Per gli uomini dello stato è la seconda opportunità per esercitare il loro potere di repressione, cosa che sanno fare molto bene.
L'opportunità di mettere di nuovo sotto processo non solo me, ma, tramite me, la lotta degli abitanti di Strimonikòs, la solidarietà con la loro lotta, la resistenza contro i progetti di distruzione del territorio e delle sue fonti di ricchezza, la resistenza contro la modernizzazione e le direttive di sviluppo delle multinazionali, gli anarchici e tutti coloro
i quali resistono allo stato ed al capitale.
Con questo processo condannano le lotte sociali in generale e la solidarietà
degli anarchici con queste. Ogni processo, come il mio e quelli di altri compagni, come i processi agli studenti per i blocchi stradali o agli abitanti di Strimonikòs processati per la loro resistenza, è un chiaro avvertimento terroristico che lo stato manda alla società nel suo
complesso, che qualcuno lo recepisca oppure no.
Quando condannano ed imprigionano qualcun altro è come se stessero condannando ed imprigionando noi. Quando minacciano di giustiziare la Pantera Nera Mumia Abu Jamal, è come se stessero minacciando di giustiziare noi. Quando sparano ai Sem Terra in Brasile, è come se sparassero a noi. Quando bombardano la gente come in Iraq ed in Jugoslavia, è come se bombardassero noi. Quando torturano qualcuno dentro una caserma di polizia,
è come se torturassero noi. Quando dei combattenti muoiono bruciati nelle
prigioni e nelle celle d'isolamento, come in Turchia, in Spagna o in Perù, è come se morissimo noi.
Per noi il processo è una possibilità per affermare ancora una volta che loro, lo stato, il capitale, i giudici, sono i veri terroristi, i veri criminali. Di affermare che le lotte e la rivolta contro il loro regime, in tutto il mondo, sono cose giuste, che la solidarietà non è una parola
vuota bensì la nostra stessa lotta.
La solidarietà non è «selettiva», né sottostà a criteri personali o a divisioni ideologiche, ma è incondizionata per tutti coloro i quali combattono dovunque e con ogni mezzo contro l'esistente ordine sociale e politico. Perché le lotte degli altri che sono lontani da noi sono anche le nostre lotte, e le nostre lotte sono le loro. Perché la solidarietà, verso chiunque sia espressa, siano lavoratori in sciopero, siano occupanti, coltivatori, studenti o verso prigionieri politici e «terroristi» o verso detenuti «comuni», è una e indivisibile.
La solidarietà riguarda ognuno poiché la repressione dello stato riguarda ognuno. E la legge «antiterrorismo» che sarà approvata tra poco, riguarda quelli che lottano, gli anarchici, ma anche l'intera società e tutti quelli che resistono.
Lo stato sceglie dei criteri, secondo i quali alcune persone vengono definite «terroristi», come hanno fatto ad esempio con gli abitanti di Strimonikòs dopo gli scontri del 9 novembre '97, quando lo stato e la polizia reagirono imponendo nella zona la legge marziale. La legge «antiterrorismo» è un'esplicita forma di dittatura dello stato e dei servizi di sicurezza. Non solo i nemici dichiarati dello stato saranno chiamati terroristi, ma anche le lotta sociali e le dimostrazioni che oltrepassano i limiti delle loro leggi e del loro controllo. Saranno chiamati terroristi anche coloro che solidarizzano con i «terroristi» e con le lotte sociali.
Il Capitalismo e il Potere uccidono in molti modi. Uno è quello dei crimini sul lavoro, chiamati «incidenti», come la morte dei dodici lavoratori della Petrola - una compagnia petrolifera - nel'92, come la morte di due lavoratori edili nel crollo del ponte dell'Attiki
Road in Paiania, come le decine di persone seppellite nelle fabbriche e negli altri edifici crollati con il terremoto, quelle annegate, come le ottanta persone morte a Paros o come i marinai della motonave «Dystos», o nei quotidiani «incidenti di lavoro» durante i lavori di costruzione e nei bacini di raddobbo di Perama.
Il capitalismo ci avvelena, come la multinazionale australiana dell'oro Esmeralda nella Romania nord-occidentale, dove la tracimazione di un serbatoio di rifiuti tossici ha inquinato il Tisza e il Danubio, o come i progetti della TVX Gold per distruggere la Baia di
Strimonikòs inquinandola permanentemente, o come i progetti della Petrolas per espandere i propri stabilimenti a Thriasio. Il capitalismo uccide, come la Union Carbide, che ha ammazzato migliaia di persone a Bhopal, in India, con la fuoriuscita di sostanze tossiche
nell'84, come gli «incidenti» nucleari di Three Miles Island, negli USA, e di Chernobyl, che continua ad uccidere ed avvelenare gente, o come la multinazionale Shell che con l'aiuto del governo nigeriano espropria con la violenza la terra agli indigeni per estrarne il petrolio.
Non esistono incidenti nella civilizzazione tecnologica in cui viviamo.
Ci sono soltanto crimini, dove gli stati e le grandi compagnie trattano le persone alla stregua di «carburante» per il loro profitto ed il loro potere. Il potere uccide quando i proiettili degli assassini di stato uccidono degli immigranti o dei cittadini, quando uccidono dei combattenti. Il potere fa terrorismo criminalizzando le lotte sociali, quando attacca le manifestazioni, quando imprigiona dei combattenti e quando emana leggi «antiterrorismo», quando mette in prigione centinaia di immigranti.
Il loro «sviluppo», la loro «democrazia», per noi significano solo sfruttamento, guerra, repressione, morte e devastazione della terra. Per gli uomini di stato ed i capitalisti ciò che importa sono potere e profitto, non la vita umana. Per noi ciò che importa sono la libertà e la dignità della vita umana. È per questo che siamo rivoluzionari.
Eventi insurrezionali come quelli di Seattle, Atene, Praga e Nizza, indicano la globalizzazione della resistenza contro il neoliberismo ed il Nuovo Ordine Mondiale.
Oggi, le forze che sostengono la sovversione, non devono confrontarsi solo con le nuove forme del dominio, il neoliberismo ed il Nuovo Ordine Mondiale, ma anche, all'«interno» del movimento di sinistra, con i sindacalisti ed i residui riformisti del «Vecchio Mondo» e del «Vecchio Ordine», che si battono ad oltranza per la conservazione e la magnificazione della situazione sociale e politica esistente, per la salvaguardia dello stato nazionale e del capitalismo nazionale.
Il neoliberismo ed il suo avversario, il protezionismo di stato, sono due facce della stessa medaglia, proprio come era per l'occidente capitalista e l'oriente burocratico, qualcosa che ha afflitto il vecchio movimento rivoluzionario e, in una qualche misura, lo ha ridotto a
strumento dell'impero sovietico, ai tempi dell'ordine mondiale bipolare.
La sovversione del capitalismo passa tanto per il rifiuto dello stato nazionale e della sovversione dei meccanismi dello Stato gerarchico, quanto per la resistenza contro le nuove forme di dominio, le strutture del Nuovo Ordine transatlantico, internazionale e transnazionale.
Il collasso dei regimi di un socialismo non realizzato e la disintegrazione della sinistra tradizionale hanno aperto la strada a nuove possibilità per il movimento anticapitalista.
Per noi non solo non è la fine della storia, ma ne è appena l'inizio!

Nikos Maziotis

20 dicembre 2000
Prigione di Koridallos, Atene

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