mercoledì 13 gennaio 2010

Alcune riflessioni sull'attuale contesto della guerra sociale in Cile

Chi ha deciso di vivere la guerra contro l'autorità e con le sue azioni si posiziona come un protagonista attivo nello scontro -e non come un mero spettatore degli avvenimenti-, riflette costantemente sul contesto in cui la lotta si sta svolgendo. E' impossibile per un guerriero astrarsi dalla realtà combattiva della quale fa parte attraverso le sue azioni e con tutta la sua vita convertita in propaganda contro il potere. Di qui il bisogno di riflettere attorno a certe idee, domande e sfide nello scenario che ci si presenta...
Dalla morte del compagno Mauricio Morales per lo scoppio dell'ordigno esplosivo che aveva nello zaino alla delazione della madre di Diego Ríos dinanzi al ritrovamento della polvere nera che ha provocato la fuga del compagno (oggi clandestino e con la legge antiterrorista che lo attende), le indagini che lo Stato conduce per la serie di attentati esplosivi avvenuti a Santiago del Cile dal 2005 hanno avuto come conseguenza una acutizzazione ed un rinnovamento dei metodi repressivi. Dalle perquisizioni con le prove in mano s'è passati all'invasione "preventiva" e militarizzata delle case, occupate o meno, alla ricerca di qualche pista che permetta di collegare qualcuno con la sterile, fino ad ora, indagine in corso. Assieme a questo, si pretende diffondere una paura repressiva che permetta d'isolare gli spazi occupati ed i centri sociali in cui l'idea antiautoritaria d'azione contro il dominio si manifesta e si diffonde apertamente, il che è divenuto evidente con i costanti controlli d'identità e schedature che agenti in uniforme ed in borghese effettuano nei confronti di coloro che frequentano tali spazi.
Il macchinario giudiziario, poliziesco e d'intelligence dello Stato ha incanalato la sua infame esistenza nel soddisfare il bisogno del potere di trovare un qualche responsabile, come al solito. A quanto pare, è la burocrazia democratica quelle che impedisce di condurre dietro le sbarre qualcuno, per questo devono imbastire uno spettacolo credibile che convinca perfino il più ingenuo per placare lo sconcerto che tra i dominanti ed i loro "professionisti" mercenari-guardiani-investigatori hanno causato gli attentati esplosivi che fino ad oggi continuano (anzi, si stanno estendendo ad altre regioni del paese). Quel che è certo è che il nemico sta facendo il possibile per arrestare più di un compagno e ne prepara lo scenario mediatico.
Tuttavia, oltre ad isolare certi spazi ed individui, si cerca di annientare un'idea che va di pari passo con l'azione: l'esercizio della libertà totale che ha bisogno delle distruzione totale di tutto l'ordine sociale per mezzo dell'attacco contro l'autorità nel presente e sotto qualsiasi forma in cui esso si manifesti. Questa è un'idea che si diffonde permanentemente attraverso la pratica e non con la mera riflessione o con gli eterni dilemmi che non giungono mai all'azione.
E' tale contesto che ci porta con urgenza a propagare con urgenza quest'idea più in là della nostra intimità o degli spazi quotidiani, in modo che le pratiche di rivolta si espandano e si moltiplichino con più forza. Perché quando si parla d'insurrezione permanente o "quotidiana" non ci si riferisce solo ad un insieme di pratiche antiautoritarie che si svolgono nella nostra intimità (quel che mangiamo, come viviamo, chi amiamo, ecc.), anche se tali gesti sono anch'essi propaganda contro il potere e sviluppano qualità che devono trascendere il proprio mondo. Tutto ciò si può fare solo se comprendiamo che la lotta che portiamo avanti a partire dalla nostra individualità s'inquadra in un contesto più grande che ci affratella con altri compagni che (non) conosciamo. Sono le nostre azioni e il contenuto che diamo ad esse a dar forma alle nostre proiezioni nella lotta, le quali si forgiano a partire dalla nostra pratica nel presente. Oggi, sentiamo il bisogno di acuire la conflittualità permanente contro il potere e di dar tutto mentre respiriamo, nonostante non si stia vivendo all'interno di una grande "esplosione sociale" o "rivoluzione", ma sapendo che il futuro che verrà sarà quello che ci costruisce a partire dal presente. Si dice: se non noi, chi? Se non adesso, quando?...
Ciò nonostante, vi sono quelli che scelgono di vivere la loro lotta su di un piano individuale non contrassegnandola in un contesto più grande, preferendo non affratellarsi con i compagni che propagandano l'idea in una maniera più "visibile". Convinti che la rivolta possieda un carattere prettamente intimo ed individuale, non esitano a tacciare gli altri compagni di essere "autoritari" o di invalidare la loro esperienza con scusa che queste non rappresentano uno schema che tutti debbano seguire.
Qui non ci riferiamo ai giudizi che provengono da quelli che pretendono coesistere pacificamente con il potere e che credono in alternative al capitale, ma alle frecciate che alcuni compagni che dicono di stare nella guerra contro l'autorità hanno lanciato verso certe persone e spazi.
Basta porre come esempio l'atteggiamento che alcuni compagni hanno avuto nel sentirsi offesi per le parole dei compagni del CSA e Biblioteca Libertaria Jhonny Cariqueo nel loro comunicato “Ante la partida Diego Ríos” in cui si diceva che di fronte ai colpi del nemico "la passività ci converte in traditori". Quelli che, sbagliando, hanno ritenuto che il messaggio fosse personalizzato ed hanno accusato i compagni e gli altri spazi di cercare il protagonismo e d'imporre un discorso all'interno dell'ambiente antiautoritario, hanno mostrato atteggiamenti poco fraterni e solidali che sono ricaduti in atti prossimi al codardo chiacchiericcio promosso dal sistema piuttosto che a critiche ed autocritiche tra compagni. Certo, le pratiche di altri compagni non costituiscono un modello inamovibile -in quanto la rivolta nega qualsiasi tipo d'ideologia e di schema preconcetto- ma non si può nemmeno avere l'arroganza di negare il valore alle pratiche altrui che possono servire da arricchimento per il nostro agire nella lotta (per chi vuole arricchirlo, ovviamente). Molteplici sono gli strumenti a nostra disposizione per espandere la rivolta e solo la creatività e l'audacia possono portarci a trovare nuove possibilità d'azione. Magari alcuni compagni sceglieranno di acuire lo scontro dal parziale o totale anonimato o invisibilità -la qualcosa è anche una decisione personale-, ma tale scelta è valida se si assume come complemento ai compagni che portano avanti la lotta impugnando qualsiasi delle diverse armi con le quali è possibile attaccare il nemico. Sebbene si punti ad essere guerrieri integrali perché rifiutiamo qualsiasi tipo di specializzazione, ognuno decide quale aspetto della sua vita -e con chi- affilerà il suo impeto alimentando la lotta che si progetta in un contesto che va ben più in là dell'individuo e del suo gruppo affine.
Pertanto, e dinanzi all'attuale contesto della persecuzione verso compagni e spazi in piede di guerra contro il potere, la propagazione della(e) idea(e) antiautoritaria(e) attraverso l'azione si presenta come una tensione ed una sfida da risolvere nella pratica di propaganda. E' stato un malinteso su ciò che significa esser nemico della società quel che ha fatto sì che si diffondesse una reticenza nel propagare queste idee tra quella che suole esser denominata "la gente". Sebbene non aspettiamo nessuno nel nostro cammino, nemmeno può esser considerato come nemico tutto quel che cammina per strada. Sappiamo che la rivolta è fatta di persone e per questo è interesse che le qualità si espandano numericamente senza l'ansia di costruire alcun tipo di movimento, né idealizzare delle persone in base alla loro condizione sociale, etnica, giudiziaria, ecc. Nessuno incarna la rivolta in se stesso se non riesce a liberarsi dai vecchi ruoli emanati dalla società di classe: lavoratore, proletario, studente, sovversivo, ecc.
Occupare le strade, riempiendole di scritte, all'interno di manifestazioni con propaganda d'azione concreta è una pratica che, da tempo, i compagni antiautoritari in Grecia hanno deciso che è necessaria -ma mai unica- per diffondere le loro idee.
Non idealizziamo il contesto di questi compagni, ma è bene apprezzarlo e adeguarlo al nostro come pratica -non bisogna dimenticare che l'autorità è presente in tutto il mondo ed anche la cooperazione tra i dominanti è qualcosa di reale-. Scuotere con la propaganda la quotidianità alienata della gente non è sinonimo di voler convincere e di cercare di lavare l'immagine di un movimento (fittizio) criminalizzato come pretendono fare i mercanti dell'ideologia anarchica. Nemmeno si tratta di negare la radicalità dell'idea/azione che si desidera propagare, né di creare simpatizzanti attorno ad essa, bensì è lo stimolo a che sempre più persone si armino contro il potere -nella maniera che si preferisce- o perlomeno a che non si condannino coloro che passano all'azione, non dimenticando che altrove ci sono ancora le taglie sulla testa degli insorti.
Qualsiasi atto di propaganda vale per se stesso e chi vuole sintonizzarsi con la gente per mezzo di codici comuni deve provarci senza dimenticare che è per mezzo dell'azione contro ogni forma d'autorità che noi ci realizziamo come individui liberi e che tale idea è pericolosa per l'ordine sociale. Pertanto in ogni azione che realizziamo, per quanto piccola possa essere, noi dobbiamo stare attenti ed esser coscienti delle conseguenze che comporta agire come nemico dell'autorità, non vociferando su quel che facciamo o diminuendo la sicurezza o abbassando i livelli di fiducia con i quelli con cui portiamo alla pratica la guerra contro la società.

Alcuni compagni del $ile

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